Franco Battiato ci ha lasciato, ma non le sue canzoni. Il mio ricordo del Maestro

Franco Battiato ci ha lasciato, ma non le sue canzoni. Il mio ricordo del Maestro

18 Maggio, 2021 0 Di Marcella Gaudina

Ciao Franco. Con “Patriots” mi hai salvato dalla depressione durante l’anno in Artiglieria. Con “La voce del padrone” hai cambiato il mainstream in Italia. Con tutto il resto ti sei dimostrato troppo grande e unico per essere accostato a qualcuno. Ti dobbiamo tutti qualcosa. Ti dobbiamo tutti tanto. Questo il ricordo che Luciano Ligabue ha postato sui propri profili social dopo la notizia della scomparsa di Franco Battiato. Il Liga non è però l’unico ad aver legato uno o più momenti della sua vita a una canzone del Maestro. Io stessa, che tra l’altro non ha mai avuto l’onore di intervistarlo, ne ho una che ha fatto da colonna sonora a uno dei periodi più tristi e malinconici della mia esistenza. Si tratta de La Cura. Una canzone che ha accompagnato l’ultimo anno di vita del mio adorato papà Savino e i miei ultimi 10 mesi vissuti con lui.

E non è un caso che la prima persona a comunicarmi, oggi, martedì 18 maggio, che Franco Battiato era mancato all’affetto dei suoi cari e dei suoi fans, dopo averlo appreso dalla televisione, sia stata proprio mia mamma. Lei adora questa canzone e fino a quando papà è stato con noi, chiedeva spessissimo a me a mio figlio Giulio che, debbo essere sincera, l’accontentava più di quanto io abbia fatto, di fargliela sentire. Se riavvolgo il nastro di quegli ultimi mesi trascorsi insieme vedo mio papà e mia mamma sdraiati sul letto della nostra camera degli ospiti, mano nella mano, intenti ad ascoltarla. Credo che quella canzone rappresentasse per loro quasi un testamento morale. Era il loro modo di dirsi che si sarebbe presi cura l’uno dell’altro fino a quando ne fossero stati in grado. Anche perché il regalo più bello che si possa fare a una persona a cui si vuole bene è la responsabilità reciproca, nella buona e nella cattiva sorte.

Ora quella canzone per me è un pugno allo stomaco perché mi ricorda, come recita un suo verso, che non sono riuscita a farlo “guarire da tutte le malattie” e neanche ahimè “a salvarlo da ogni malinconia”. Soprattutto da quella malinconia che il mio papà deve aver provato trascorrendo l’ultimo mese della sua vita, in un letto d’ospedale, da solo. Se da un lato il Covid mi ha permesso di “godermelo” (durante il lockdown ho sempre lavorato da casa e abbiamo potuto recuperare il tempo perduto: ricordi papà le nostre passeggiate in giardino, le nostre chiacchierate davanti a un caffè, quando ti radevo la barba e tu non eri mai soddisfatto?), dall’altro non mi ha consentito di stargli vicino proprio quando ne avrebbe avuto decisamene più bisogno perché, per colpa della pandemia, c’è sempre stato vitato di fargli visita (in una delle sue ultime telefonate dall’ospedale ci aveva detto di non aver alcun supporto morale e di sentirsi abbandonato).

Purtroppo non ci non state cure in grado di salvare il mio papà e non ci sono cure per lenire il mio dolore per un’assenza che si fa sentire ogni giorno. A consolarmi solo il fatto che questo mio dolore, per non essere potuta stare al capezzale del mio papà, non è solo il mio, ma è un dolore condiviso da tutte quelle persone che hanno vissuto l’esperienza di un lutto in tempo di Coronavirus. Perché perdere una persona cara in questo periodo è veramente un’esperienza terribile. Si sopravvive col tormento di non essere stati loro accanto nei loro ultimi istanti di vita, di non aver portato loro conforto o tenuto loro la mano, di non sapere quali siano stati i loro ultimi pensieri e le ultime parole che avrebbe voluto rivolgerci.

La lettura dell’articolo dedicato a Franco Battiato, firmato da Felice Cavallaro, pubblicato sul Corriere.it, in un certo senso è riuscito per un momento a lenire questo mio dolore. Mi ha ricordato come anche i nostri ultimi giorni assieme siano stati belli, come quelli trascorsi tra il Maestro e suo fratello Michele, che non l’ha mai abbandonato nella casa di Milo, vicino alla cima dell’Etna, insieme a tutta la sua famiglia. Un po’ come noi. E mi ha riportato alla memoria la tua felicità il giorno del tuo 90esimo compleanno (anche Battiato, che il 23 marzo ha spento 76 candeline «Era contento della festicciola. E riuscì ad assaggiare la torta…» ricorda suo fratello). Ma non solo. Mi ha fatto riaffiorare alla mente che, come lui, hai lasciato questo “centro di gravità permanente” forse quasi senza accorgetene e questa può essere l’unica mia consolazione (“Nelle ultime ore non ha capito, non c’era più, per sua fortuna avvolto da un coma profondo…»). Di sicuro papà, tu per me sei stato un essere speciale. E io avrò cura di te. Anzi, continuerò ad avere cura di te custodendo nel mio cuore il tuo ricordo. E il regalo più grande che posso farti è di non dimenticarti, di non dimenticare i nostri momenti trascorsi assieme e di mantenere fede alla promessa che ti ho fatto: di avere cura della persona che più hai amato, la mamma.