Milanesi (e forse anche turisti) sotto scacco dei delinquenti. Cronaca di una domenica pomeriggio di luglio in Questura

Milanesi (e forse anche turisti) sotto scacco dei delinquenti. Cronaca di una domenica pomeriggio di luglio in Questura

18 Luglio, 2021 0 Di Marcella Gaudina

Trascorrere una domenica pomeriggio in Questura, a Milano, mi ha riportato alla memoria le lunghe attese al Pronto Soccorso con l’unica differenza che qui le priorità sono dettate (per fortuna) dall’orario d’arrivo dei malcapitati di turno e non dalla valutazione delle loro condizioni cliniche. Sta di fatto che, in quelle tre lunghe ore trascorse un po’ fuori sul marciapiede (colpa delle norme anti-Covid) e la gran parte nella sala d’attesa del commissariato in Via Fatebenefratelli 11, oltre a scoprire, grazie a una grande lapide, che qui Alessandro Manzoni era stato studente (il palazzo, che dal 1943 ospita la polizia, prima, per quasi quattro secoli, è stato un collegio e un liceo d’eccellenza per la formazione dei giovani milanesi, tra cui proprio l’allora adolescente autore de “I Promessi Sposi”), mi è stata mostrata una Milano pericolosa e violenta, di cui ahimè io stessa sono stata vittima.

Ma partiamo dall’inizio. Sono le 12.00 quando mi reco al Nice Apartment |Bocconi Navigli e mi rendo conto che la porta d’ingresso della nostra casa è solo socchiusa. Una volta dentro capisco che non è stato l’ospite (check-out alle ore 11.00) a dimenticarsi di chiuderla a chiave (cosa peraltro in passato già successa), ma che dei malviventi o semplicemente dei disperati, in cerca di un po’ denaro o di una manciata di oggetti d’oro, hanno forzato volutamente la serratura. Lì sul momento non penso che queste persone possano essere ancora dentro l’appartamento, sono colpita soprattutto dal caos che regna nell’anticamera: un’anta dell’armadio a muro, che era chiusa a chiave, rotta e tutto il contenuto dello stesso a terra. Mi guardo poi in giro: cassetti aperti, scatole e cofanetti ribaltati a terra. Alla fine constato che avevano solo (si fa per dire) messo tutto sottosopra, forzato la porta blindata e tutte le porte interne delle stanze (per fortuna solo due), che avevo chiuso a chiave, perché non utilizzate. Nessun oggetto di valore è stato rubato semplicemente perché non ne avevamo mai lasciati e nessun ospite vi stava soggiornando, quindi no bagagli ed effetti personali.

Le tre ore di sala d’attesa mi servono per riflettere sull’accaduto e su quanto siamo stati fortunati per più di un motivo. Il primo è che, se doveva succedere, è meglio che sia successo quando l’appartamento ero vuoto. Secondo avrei potuto entrare in casa con i ladri ancora in azione e questi avrebbero potuto ferirmi o minacciarmi, magari proprio con il trinciapollo della mia nonna paterna Angela, che gli stessi hanno preso dal cassetto della cucina e usato, una volta entrati, per rompere tutte le serrature delle porte chiuse. Terzo questo spiacevole evento ci ha messo di fronte a una realtà che finora avevamo visto solo al telegiornale ovvero che Milano non è sicura, come non lo sono ovviamente tante altre città, e che di conseguenza dobbiamo alzare il livello di protezione della nostra casa per noi, ma soprattutto per i nostri ospiti.

La conferma che a Milano non si possa girare tranquilli (sempre che in passato lo si potesse fare di giorno come di notte) l’ho poi avuta sempre in quelle tre ore trascorse in Questura. La sala d’aspetto di un Commissariato è in un certo senso una grande scuola di vita. In coda prima e dopo di me due ragazzi, un infermiere e uno studente universitario, uno vittima di un furto con strappo del telefono cellulare all’una di notte, mentre era alla fermata del tram in Piazza XXIV Maggio (Navigli), e l’altro di un pestaggio (aveva escoriazioni sia sul volto che su braccia e gambe) a scopo di rapina, più o meno contemporaneamente al precedente episodio, questa volta però in Piazza Leonardo da Vinci (Sempione).

E non pensiate che si tratti di due episodi isolati. Sono quasi sicura che se i muri del Commissariato di Via Fatebenefratelli 11 di Milano potessero parlare ne avrebbero di storie da raccontarci.